Indymedia e' un collettivo di organizzazioni, centri sociali, radio, media, giornalisti, videomaker che offre una copertura degli eventi italiani indipendente dall'informazione istituzionale e commerciale e dalle organizzazioni politiche.
toolbar di navigazione
toolbar di navigazione home | chi siamo · contatti · aiuto · partecipa | pubblica | agenda · forum · newswire · archivi | cerca · traduzioni · xml | classic toolbar di navigazione old style toolbarr di navigazione old style toolbarr di navigazione Versione solo testo toolbar di navigazione
Campagne

autistici /inventati crackdown


IMC Italia
Ultime features in categoria
Archivio completo delle feature »
toolbarr di navigazione
IMC Locali
Abruzzo
Bologna
Calabria
Genova
Lombardia
Napoli
Nordest
Puglia
Roma
Sardegna
Sicilia
Piemonte
Toscana
Umbria
toolbar di navigazione
Categorie
Antifa
Antimafie
Antipro
Culture
Carcere
Dicono di noi
Diritti digitali
Ecologie
Economie/Lavoro
Guerre globali
Mediascape
Migranti/Cittadinanza
Repressione/Controllo
Saperi/Filosofie
Sex & Gender
Psiche
toolbar di navigazione
Dossier
Sicurezza e privacy in rete
Euskadi: le liberta' negate
Antenna Sicilia: di chi e' l'informazione
Diritti Umani in Pakistan
CPT - Storie di un lager
Antifa - destra romana
Scarceranda
Tecniche di disinformazione
Palestina
Argentina
Karachaganak
La sindrome di Quirra
toolbar di navigazione
Autoproduzioni

Video
Radio
Print
Strumenti

Network

www.indymedia.org

Projects
oceania
print
radio
satellite tv
video

Africa
ambazonia
canarias
estrecho / madiaq
nigeria
south africa

Canada
alberta
hamilton
maritimes
montreal
ontario
ottawa
quebec
thunder bay
vancouver
victoria
windsor
winnipeg

East Asia
japan
manila
qc

Europe
andorra
antwerp
athens
austria
barcelona
belgium
belgrade
bristol
croatia
cyprus
estrecho / madiaq
euskal herria
galiza
germany
hungary
ireland
istanbul
italy
la plana
liege
lille
madrid
nantes
netherlands
nice
norway
oost-vlaanderen
paris
poland
portugal
prague
russia
sweden
switzerland
thessaloniki
united kingdom
west vlaanderen

Latin America
argentina
bolivia
brasil
chiapas
chile
colombia
ecuador
mexico
peru
puerto rico
qollasuyu
rosario
sonora
tijuana
uruguay

Oceania
adelaide
aotearoa
brisbane
jakarta
manila
melbourne
perth
qc
sydney

South Asia
india
mumbai

United States
arizona
arkansas
atlanta
austin
baltimore
boston
buffalo
charlottesville
chicago
cleveland
colorado
danbury, ct
dc
hawaii
houston
idaho
ithaca
la
madison
maine
michigan
milwaukee
minneapolis/st. paul
new hampshire
new jersey
new mexico
new orleans
north carolina
north texas
ny capital
nyc
oklahoma
philadelphia
pittsburgh
portland
richmond
rochester
rogue valley
san diego
san francisco
san francisco bay area
santa cruz, ca
seattle
st louis
tallahassee-red hills
tennessee
urbana-champaign
utah
vermont
western mass

West Asia
beirut
israel
palestine

Process
discussion
fbi/legal updates
indymedia faq
mailing lists
process & imc docs
tech
volunteer
La Siemens richiama i suoi dipendenti, frenano anche altre imprese
by repubblica Friday April 23, 2004 at 06:31 PM mail:  

speriamo che sia l'inizio di un crollo economico


La Siemens richiama i suoi dipendenti, frenano anche altre imprese
Fermano parte dei progetti Bechtel e General Electrics
La grande fuga da Bagdad
"In Iraq troppi rischi"
dal nostro inviato ARTURO ZAMPAGLIONE

NEW YORK - Esasperata per i rapimenti e gli agguati, per i pericoli della vita quotidiana e il crescente clima di violenza, la Siemens, la società tedesca di ingegneria e telecomunicazioni, ha ordinato a tutti i suoi dipendenti di lasciare l'Iraq. Per le stesse ragioni anche due colossi americani, General Electric e Bechtel, hanno sospeso alcuni lavori di ricostruzione, creando nuovi ostacoli nella strategia di normalizzazione perseguita da George W. Bush.

Sin dalla prime fasi della guerra, infatti, la Casa Bianca aveva puntato sulla rinascita economica dell'Iraq per conquistare il sostegno dell'opinione pubblica. Ma la ricostruzione è andata a rilento, e la recente fiammata di rivolte, disordini e crudeltà ha ulteriormente frenato gli sforzi americani. Il rischio? Che l'estrazione di petrolio non sia sufficiente a finanziare il rilancio post-Saddam e che la produzione di energia elettrica non soddisfi il fabbisogno estivo.

"L'elettricità ha un importantissimo aspetto simbolico e pratico. Influenza la vita quotidiana della gente", ricorda Isam al Khafaji, "ambasciatore" di George Soros in terra irachena. Uno dei progetti in stand-by riguarda proprio i generatori di due centrali elettriche al sud di Bagdad.

L'anno scorso la Siemens aveva vinto due commesse del valore di 95 milioni di dollari per la fornitura di una turbina a gas di 266 megawatt. Il gruppo tedesco lavorava in collaborazione con la Bechtel per riparare due unità alla centrale Dora e per rimettere in funzione quella di Mussayab. Tutto doveva essere pronto per il 15 maggio. Ma adesso la scadenza è in alto mare. La Siemens, infatti, ha preso alla lettera l'invito rivolto ai connazionali dal governo di Berlino e ha richiamato i suoi dipendenti.
"Penso che i tedeschi ritorneranno", commenta il ministro per l'Elettricità del governo provvisorio, Ayham al-Samarei: "La Siemens non vorrà perdere per sempre le opportunità di guadagno in Iraq. D'altra parte, se ce ne sarà bisogno, i nostri ingegneri sono pronti".
La Bechtel, un gruppo ingegneristico di San Francisco, ha sospeso il 10 per cento dei progetti iracheni. Anche la General Electric ha ammesso un rallentamento, dovuto in parte alla situazione interna, in parte alle lentezza delle comunicazioni. L'unica società a lavorare a pieno ritmo, nonostante la morte di 33 dipendenti, è la Halliburton, che una volta era guidata dall'attuale vice-presidente americano Dick Cheney, e che ha 24mila dipendenti in Iraq e Kuwait.

Secondo gli esperti americani, è improbabile che i lavori di ricostruzione possano accelerare prima dei cambiamenti istituzionali in programma il 30 giugno e prima di aver riportato la calma in tutto l'Iraq. La situazione, infatti, continua a essere molto tesa. Ieri John McCain, senatore repubblicano ed ex-candidato alla Casa Bianca, ha suggerito di mandare un'altra divisione a Bagdad (10mila uomini in più) e ha invitato Bush a essere molto chiaro con i cittadini. "C'è bisogno - ha detto - di tagliare le spese pubbliche per pagare quelle belliche". Per ora, il costo della guerra per gli Stati Uniti è di circa 4 miliardi di euro al mese.

L'esigenza di un rafforzamento numerico delle truppe americane è legato da un lato al ritiro di alcuni paesi della coalizione (Spagna, Honduras, Repubblica dominicana), dall'altro ai ritardi nella creazione di una nuova forza di polizia irachena. La coalizione ha cercato di arruolare e addestrare migliaia di iracheni, ma molti sono finiti nelle fila dei ribelli. E solo ora Paul Bremer, pro-console di Bush in Iraq, si rende conto dell'errore di aver dissolto completamente le forze armate di Saddam Hussein (400mila uomini) e messo al bando gli esponenti del partito Baath.

Di qui un ripensamento, che potrebbe portare alcuni baathisti nell'amministrazione, nell'esercito e persino nel governo.

http://www.repubblica.it/2004/d/sezioni/esteri/iraq19/grandfuga/grandfuga.html

versione stampabile | invia ad un amico | aggiungi un commento | apri un dibattito sul forum 
©opyright :: Independent Media Center
Tutti i materiali presenti sul sito sono distribuiti sotto Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0.
All content is under Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 .
.: Disclaimer :.

Questo sito gira su SF-Active 0.9