speriamo che sia l'inizio di un crollo economico
La Siemens richiama i suoi dipendenti, frenano anche altre imprese Fermano parte dei progetti Bechtel e General Electrics La grande fuga da Bagdad "In Iraq troppi rischi" dal nostro inviato ARTURO ZAMPAGLIONE
NEW YORK - Esasperata per i rapimenti e gli agguati, per i pericoli della vita quotidiana e il crescente clima di violenza, la Siemens, la società tedesca di ingegneria e telecomunicazioni, ha ordinato a tutti i suoi dipendenti di lasciare l'Iraq. Per le stesse ragioni anche due colossi americani, General Electric e Bechtel, hanno sospeso alcuni lavori di ricostruzione, creando nuovi ostacoli nella strategia di normalizzazione perseguita da George W. Bush.
Sin dalla prime fasi della guerra, infatti, la Casa Bianca aveva puntato sulla rinascita economica dell'Iraq per conquistare il sostegno dell'opinione pubblica. Ma la ricostruzione è andata a rilento, e la recente fiammata di rivolte, disordini e crudeltà ha ulteriormente frenato gli sforzi americani. Il rischio? Che l'estrazione di petrolio non sia sufficiente a finanziare il rilancio post-Saddam e che la produzione di energia elettrica non soddisfi il fabbisogno estivo.
"L'elettricità ha un importantissimo aspetto simbolico e pratico. Influenza la vita quotidiana della gente", ricorda Isam al Khafaji, "ambasciatore" di George Soros in terra irachena. Uno dei progetti in stand-by riguarda proprio i generatori di due centrali elettriche al sud di Bagdad.
L'anno scorso la Siemens aveva vinto due commesse del valore di 95 milioni di dollari per la fornitura di una turbina a gas di 266 megawatt. Il gruppo tedesco lavorava in collaborazione con la Bechtel per riparare due unità alla centrale Dora e per rimettere in funzione quella di Mussayab. Tutto doveva essere pronto per il 15 maggio. Ma adesso la scadenza è in alto mare. La Siemens, infatti, ha preso alla lettera l'invito rivolto ai connazionali dal governo di Berlino e ha richiamato i suoi dipendenti. "Penso che i tedeschi ritorneranno", commenta il ministro per l'Elettricità del governo provvisorio, Ayham al-Samarei: "La Siemens non vorrà perdere per sempre le opportunità di guadagno in Iraq. D'altra parte, se ce ne sarà bisogno, i nostri ingegneri sono pronti". La Bechtel, un gruppo ingegneristico di San Francisco, ha sospeso il 10 per cento dei progetti iracheni. Anche la General Electric ha ammesso un rallentamento, dovuto in parte alla situazione interna, in parte alle lentezza delle comunicazioni. L'unica società a lavorare a pieno ritmo, nonostante la morte di 33 dipendenti, è la Halliburton, che una volta era guidata dall'attuale vice-presidente americano Dick Cheney, e che ha 24mila dipendenti in Iraq e Kuwait.
Secondo gli esperti americani, è improbabile che i lavori di ricostruzione possano accelerare prima dei cambiamenti istituzionali in programma il 30 giugno e prima di aver riportato la calma in tutto l'Iraq. La situazione, infatti, continua a essere molto tesa. Ieri John McCain, senatore repubblicano ed ex-candidato alla Casa Bianca, ha suggerito di mandare un'altra divisione a Bagdad (10mila uomini in più) e ha invitato Bush a essere molto chiaro con i cittadini. "C'è bisogno - ha detto - di tagliare le spese pubbliche per pagare quelle belliche". Per ora, il costo della guerra per gli Stati Uniti è di circa 4 miliardi di euro al mese.
L'esigenza di un rafforzamento numerico delle truppe americane è legato da un lato al ritiro di alcuni paesi della coalizione (Spagna, Honduras, Repubblica dominicana), dall'altro ai ritardi nella creazione di una nuova forza di polizia irachena. La coalizione ha cercato di arruolare e addestrare migliaia di iracheni, ma molti sono finiti nelle fila dei ribelli. E solo ora Paul Bremer, pro-console di Bush in Iraq, si rende conto dell'errore di aver dissolto completamente le forze armate di Saddam Hussein (400mila uomini) e messo al bando gli esponenti del partito Baath.
Di qui un ripensamento, che potrebbe portare alcuni baathisti nell'amministrazione, nell'esercito e persino nel governo.
http://www.repubblica.it/2004/d/sezioni/esteri/iraq19/grandfuga/grandfuga.html
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